lunedì 17 ottobre 2016

I MISTERI DI ERACLE, DAI 'COLLEGIA FABRORUM' ALL'ANTICA MASSONERIA




L'uomo ha sempre cercato di costruire verso il cielo, incarnando il suo sogno nella pietra (J. Fort Newton).





a)  Presentazione del tema

                   Parlando del binomio greco-latino Eracle-Ercole, un dossier pubblicato su una rivista divulgativa alla metà circa degli anni ‘90 (1) tratteggiava la situazione degli studi sul personaggio in quel momento.  L’articolo spiegava che non si era trovata traccia dell’eroe nel Lineare B (2), a differenza di quanto è avvenuto per gli Dei classici (3).  Una diversità d’atteggiamento che  in effetti dà da pensare.  Naturalmente è impossibile che nella civiltà micenea, di cui il Lineare B costituisce l’unica traccia scritta, non conoscesse Hēraklês; né Euristeo, re di Micene.  Giusta è d’altronde l’ipotesi, formulata dalla Bonnet-Xella (4), a proposito della difficile gestazione del Dōdékatlos (il ‘Duodenario’ delle Fatiche) da un insieme di materiale solo orale e poi anche scritto e figurato (5).  L’autrice rileva nelle metope del Tempio di Zeus ad Olimpia (metà del V sec. a.C.) le prime tracce iconologiche delle ‘Fatiche’ (6), sennonché il materiale decorativo è corrotto e non si può capire esattamente – a suo dire quante ve ne fossero raffigurate (7).  Vengono menzionate (8) di seguito le Nove Fatiche del Tempio di Efesto ad Atene (9), sempre del V sec.; e le Undici delle metope del Tempio di Eracle a Tebe, scolpite da Prassitele durante il IV sec. e testimoniate da Pausania (II sec.) nella Periegesi.  In certo senso si può pensare, stando alla sintesi della studiosa belga, che certe Fatiche non rientrassero nel canone ufficiale, ammesso che ve ne fosse uno.  Non si può tuttavia utilizzare il termine ‘apocrifo’ in greco, come fa lei alla maniera protestante (10); poiché il vocabolo significa ‘segreto’, non ‘falso, e comunque in quest’ambito nessuna delle due accezioni risulterebbe valida.
                   La verità, però, è che le Fatiche di Eracle erano già raffigurate in epoca arcaica, non soltanto in quella classica.  Vedi l’annientamento di Nesso ritratto dall’omonimo pittore (ultimo quarto del VII sec. a.C.) in un’anfora di modello proto-attico recente in una terracotta conservata al Mus.Naz. di Atene, o l’inseguimento ai Centauri in uno scifo (vaso a terracotta a due anse) di stile corinzio medio (c.590-80 a.C.), ora al Louvre (11).  Ed ancora l’uccisione del tricipite Gerione, munito di triplice scudo decorato coll’Aquila (emblema aquariano), in un’anfora a figure nere della Bibl.Naz. di Parigi; attribuita al “pittore delle iscrizioni” ed appartenente all’arte calcidese dell’Italia Meridionale (c.540 a.C.), ma rinvenuta a Cere, in Etruria (12).  Oppure l’idria etrusca a figure nere (vaso in ceramica 



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usato dalle donne per attingere acqua) di modello ionico-italico (c.540 a.C.) ritraente, da parte del “Pittore delle idrie di Cere”, l’episodio di Busiride (Mus. di St. dell’Arte, Vienna); nonché da parte dello stesso artista in un’analoga idria (c.530 a.C.) del Louvre, l’adduzione del tricipite Cerbero presso Euristeo, ritiratosi in una giara per lo spavento (13).  Per non parlare di altre imprese, quali la cattura del Cervo di Cerinea (14), sostituite a volte per sineddoche da illustrazioni di personaggi da esse tratte (Nereo, Alcioneo ecc.)(15).  
                   Il fatto che tali Fatiche compaiano singolarmente non significa che queste fossero considerate imprese isolate, ma esclusivamente che non c’era bisogno di ricordarle tutte assieme per capire che il riferimento di ciascuna era al Duodenario Solare annuale, oltreché alla precessione equinoziale.  Evidentemente invece in Epoca Ellenistica, vale a dire nel momento di passaggio dall’Era dell’Ariete all’Era dei Pesci (precisamente nel 160 a.C., ma si deve intendere in tal senso tutta l’epoca indicata), il paesaggio culturale cambiò radicalmente; da un lato ci si trovò dinanzi a nuove grandi speranze e dall’altro ad una confusione incredibile, il progetto ideale di fusione etnica fra Macedoni e Persiani e d’instaurazione d’una moneta unica nell’Impero Macedone da parte di Alessandro Magno lo testimoniano apertamente (16).  Il Bengston ha visto in tale piano riorganizzativo un fenomeno storico che, pur nel rispetto delle identità etno-religiose varie (17), ha influenzato non solamente il IV ed il III sec. a.C.; bensí addirittura quel sincretismo (noi preferiremmo definirlo sincresi, anche ammettendo l’intervento possibile – anzi, inevitabile in tale ambito di elementi degenerativi di molteplice natura) dell’epoca imperiale romana all’inizio dell’E.V., donde ebbero modo di trovar terreno fertile e svilupparsi prima il Cristianesimo e poi tardivamente perfino l’Islamismo. 



b)  Le Dodici Fatiche e i Misteri di Eracle

                   Non è lecito attribuire la formazione del Dōdékatlos all’inizio dell’Epoca Volgare, quantunque l’enunciazione scritta del canone risalga realmente al principio dell’Era Cristiana; cioè al I od 



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al II sec. d.C., pigliando per buona l’attribuzione di esso allo Pseudo-Apollodoro (18).    Il che non significa che il numero delle ‘Fatiche’
(equivalenti ai Labores massonici) non fosse già stabilito in anticipo.  Sarebbe altrimenti come attribuire la riformulazione del ‘Vecchio Testamento’ al periodo in cui, per imitazione cristiana, è stato stilato dagli scribi giudaici.  Tanto è evidente in entrambi i casi l’intento di salvare dall’estinzione, o dalla degradazione in cui inevitabilmente lo conduce l’abbinamento di poetica ed arte, il patrimonio spirituale tramandato dagli antenati.  No, si tratta unicamente d’una canonizzazione scritta.  Il materiale a contenuto esoterico, e non semplicemente exoterico, è stato tramandato dappertutto dapprima in forma orale; poiché, come insegnavano un tempo le tradizioni indiane, “gli Dei amavano il segreto”.  Quindi, trattandosi d’un credo pagano pre-cristiano, nel cercare d’intenderlo dobbiamo ragionare alla stessa maniera. 
                   Le 12 ‘Fatiche di Ercole’ – ha sottolineato qualcuno – ricalcano per certi aspetti le 12 ‘Avventure’ dell’Epopea di Ghilgamesh, ma sfortunatamente non ci risulta sia mai stata compilata alcuna opera in merito.  Non si può pensar diversamente, sennò salta tutto l’impianto costruttivo; il quale c’induce a ritenere che esse abbiano a che fare collo Zodiaco Solare duodenario, secondo quanto sospettato da alcuni autori antichi.  A dimostrazione che lo spirito arcaico, il quale le aveva create, era ormai andato quasi irrimediabilmente perduto per via della civiltà urbana.  Quando la Bonnet-Xella (19) parla di arbitrarietà delle redazioni finali di Diodoro Siculo e di Apollodoro Ateniese (20) ha certamente ragione da vendere.  Ciò però non significa che la mitologia eraclea sia “plastica e vivace” (tutta la mitologia, se vogliamo, è tale), sí che si abbia l’impudica licenza di mettere e togliere come si vuole.  Semmai, l’insicurezza con cui artisti, storici ed eruditi (non veri mitografi in senso moderno) dopo di loro hanno provato a ricostruire l’Epopea di Eracle, non giuntaci in un canone ortodosso al pari di quella mesopotamica di Ghilgamesh (21), tradisce la particolare situazione storica in cui trovavasi la Grecia derlla pólis (22); insomma, la Grecia classica.  Se noi osserviamo l’arte greca del periodo arcaico e la paragoniamo a quella del periodo classico, ci accorgiamo della profonda perdita di significati e di contenuti interiori che essa subisce nel passaggio da forme rozze ma ieratiche 



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ad altre tanto levigate quanto ridotte al puro campo allegorico ed estetico (23), o quasi.  Non a caso ad un nume fondamentale quale Apollo, il dio della luce dai trascorsi iperborei, in quel momento vien meno il suo attributo principale: il Cerbiatto, che invece era presente in precedenza (24).  Cosí diviene in sostanza un’insulsa ed efebica espressione di muscolarismo virile, benché densa di valenze allegoriche concernenti il il Bello e il Buono (Καλόν-κγαθόν) in senso platonico.  Questo non è che un passaggio dal sacro, con rimandi numinosi, alla semplice nobiltà d’animo e di lignaggio in termini aristocratici.  Mentre prima, non meno dello Mga (‘Cervo, Antilope’)(25) di Śiva (corrispettivo nume indiano, pure questo venerato quale modello di bellezza fisica), l’apollineo Cerbiatto alludeva alla costellazione di Orione quale sede della luce, tanto in senso cosmologico quanto ontologico.  Sarebbe stato come se in India avessero trasformato Śiva o Mgeśvara (26) in un signor-nessuno adatto unicamente a far sospirare ragazzi e ragazze che lo veneravano in veste di modello erotico mascolino, o giú di lí, sia pur con aggiunta di qualità morali intrinseche.
                   Se vogliamo ricostruire per bene il senso delle ‘Fatiche’ dobbiamo pigliar per buono almeno il numero canonico.  Che poi non fosse quello il numero originario lo pensiamo pure noi, stando a quanto asserito dal viaggiatore (e paletnografo ante-litteram) Erodoto nel Capitolo Secondo delle Storie; laddove (§§ 42-5) stabilisce il doppio culto di Eracle quale dio olimpio ed eroe, testimoniando peraltro in un passo (ii. 43, 4) che gli Dei erano diventati 12 dagli 8 che erano in precedenza ben 17.000 anni prima del Regno di Amasi (569-525 a.C.).  Il Regno cioè durante cui l’Egitto cominciò a svolgere una politica marittima nel Mediterraneo, intrattenendo rapporti a vario livello colla Grecia.  La datazione, in tutta evidenza, è di carattere ciclico.  Ossia considerando che l’Età del Bronzo della cosmologia mitica è durata 12.960 anni ed è venuta prima dell’Età del Ferro, che è durata solo la metà (6.480 anni, vale a dire 1 Magnus Annus Platonis), fatte le somme fra l’una e l’altra si giunge ad un computo nel complesso di 19.440; se togliamo gli anni che vanno dal Regno di Amasi al 2.000 d.C., in pratica 2.570 anni, otteniamo la data indicata dallo scrittore di Alicarnasso (Asia Minore) quale fine dello Zodiaco Ottonario ed inizio di quello Duodenario.  Insomma, 17.000 c. prima di Erodoto.  La qual cosa significa che 



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Greci ed Egizi attribuivano comunemente alla prima metà dell’Età del Bronzo (17.440-10.960) l'inizio del culto dello Zodiaco Solare Duodenario.
                   Forse anche i prolungamenti storici di questo doppio culto hanno creato confusione nei devoti di esso, per inevitabile sovrapposizione delle due storie mitiche.  Ciò a dire il vero è accaduto parimenti fra indú ed ebrei, considerando gli omologhi di Eracle in campo induista ed ebraico.  Esistono infatti parimenti alla Grecia 2 Ka, quello dello Harivaśa e l’altro del Mahābhārata, così come vi è un duplice Noè nella Genesi, prima e dopo il Diluvio Universale.  Sono due personaggi distinti, che per qualche ragione a noi moderni non del tutto manifesta, sono stati in un primo tempo sovrapposti e poi identificati.  Guardacaso Kṛṣṇa (s’intende,il periodo avatarico che gli corrisponde) è l’inventore dello Zodiaco Solare.  Si può supporre dunque che l’invenzione sia avvenuta in 2 stadi: a) lo stadio dello Zodiaco a 8 Segni, attribuibile a Kṛṣṇa Gopāla (‘Bovaro’); b) quello dello Zodiaco a 12 Segni, attribuibile a Kṛṣṇa Jagannātha, il signore delle piogge, identificato all’eroe-auriga mahabharatiano.  Per comprendere come anche Noè abbia a che fare col medesimo simbolo, basta rammentare che la sua è un’<Arca degli Animali>; a meno di voler continuare a rispettare il testo alla semplice lettera, credendo a mo’ di fanciulli che gli <Animali> (gr.Ζα) interpellati fossero gli stessi raccolti dal patriarca intorno a sé come nel celebre film di J.Huston (27), peraltro assai grazioso.  Pure nel Vecchio Testamento distinguonsi palesemente un patriarca antidiluviano ed uno post-diluviano, i quali avendo avuto fra di loro una distanza epocale di c.6.840 anni (quel che gl’Indú conoscono come ‘periodo avatarico’).

(2 pagine di manoscritto mancanti, per il momento perdute)

per tentarne una ricostruzione in chiave massonica.  Visto che, di certo, vi è stata una staffetta nella consegna di dati fra la cultura pagana e quella cristiana avvenuta durante l'Età Tardo-antica.  Macrobio è un utile autore per ricostruire tale consegna. 

 

c)  Le origini della Massoneria antica

                   Naturalmente questo è un articolo sui generis.  Non stiamo a menzionare caterve di scritti per dimostrare la nostra tesi, che ha bisogno di riflessioni piú che di citazioni autorevoli.  Per chi volesse approfondire rimandiamo ad un nostro scritto assai piú elaborato (35), il quale benché non si occupi dell'argomento diffusamente tuttavia pone le basi per la comprensione di esso a piú largo respiro.  Giacché nessun mistero antico nasce per caso, essendo la trasmissione semmai d'una sapienza primeva tramandata in segreto per via orale e giunta sino ad epoca storica, per essere tardivamente riordinata e riorganizzata in una serie di atti rituali e di pratiche meditative sviluppate al fine di tener viva la fiamma conosciuta dai nostri Antenati.  Gli studiosi accademici tendono a snobbare o fraintendere il segreto oppure, qualora ne vengano in possesso casualmente, s'ingeniano a frammentarlo in una serie di scritti eruditi adatti piú agli 'specialisti' profani che non a quelli che dovrebbero essere i giusti destinatari di esso. 
                   Quali sono i giusti destinatari se non coloro che al di là della loro veste mondana, eruditi o meno che siano, hanno rispetto per gli antichi insegnamenti artigianali delle confraternite varie e sono proni tendenzialmente a metterli in pratica?  Ad ogni modo, se ci avviamo a far ricerche su quanto resta dell'antica Massoneria, possiamo ottenere qualche risultato concreto.  In codesto settore 2 libri hanno particolarmente attratto la nostra attenzione: uno del duo ormai scomparso M.Baigent & R.Leigh (The Temple and the Lodge, 1991), sebbene maggiormente famoso per il suo testo sul Graal (compilato assieme allo sceneggiatore H.Lincoln); l'altro di R.Gardner, anch'egli famoso per successive e piú approfondite ricerche nello stesso campo (36).

                 Siccome qui ci occupiamo dell’antica Massoneria (operativa) e non di quella moderna (speculativa), i dati che ci servono non riguardano gli avvenimenti che vanno dall’assassinio di Alessandro III del 1.286, dopodiché l’Inghilterra s’intromise negli affari interni della Scozia celtica, fino alla rifondazione della confraternita nel Settecento.   A noi per codesta ricerca interessano semmai i dati che vanno dal tempo dell’istituzione dei Collegia Fabrorum, ossia le antiche Logge, fino al Periodo Tardo-antico e piú oltre.  Ovvero, passando per i Maestri Comacini (corporazione edile itinerante del Comasco ed in genere della Lombardia, VII-VIII sec.) sino alla morte del re scozzese di cui sopra.  Poiché è evidente che la Massoneria moderna ha i suoi veri natali nel Trecento, vale a dire nella presa di posizione anti-anglosassone dello scomunicato re Robert Bruce (37).  L’assassinio dell’ultimo re celtico è palese funga da spartiacque fra il mondo medievale e quello moderno, anche se gli oltre 200 anni che vanno dal 1.286 al 1.492 sarebbe meglio definirli “pre-moderni”.  Cosí come la scoperta ufficiale dell’America avviene piú tardi con Colombo, ma era già in cantiere, se stiamo alla notizia dei viaggi nascosti dei Templari verso le coste dell’Oltreatlantico (preceduti da quelli dei Vichinghi alla volta della Groenlandia)(38), egualmente l’Epoca Moderna è fatta cominciare dopo dagli storici, seppur dipenda dalla fine dell’ultimo vero regno celtico.  Il tentativo di Bruce è un tentativo di restaurazione fallito, che tuttavia ha lasciato in eredità alla Massoneria cristianizzata, fino alla trasformazione ultima in Massoneria protestante.  Come scriveva il duo menzionato (39), “la Massoneria assomiglia ad un gomitolo di filo ingarbugliato da un gattino giocoso” ed è compito dello studioso sbrogliare “le numerose matasse” prima che si possano individuare le origini della medesima.  

                   Ben detto, è proprio cosí!  Ad ogni modo, essendo la Massoneria nell’Occidente europeo l’equivalente sul piano iniziatico di quel ch’è nell’Oriente indiano il Karmayoga, potremmo intendere le origini della Libera Muratoria grosso modo in parallelo alle origini dello Yoga di tipo karmico.  Dunque, dando per scontato che in Europa si è avuta una cristianizzazione – piú o meno forzata – della Massoneria antica (cioè eraclea)(40), il Karmayoga dovrebbe essere in teoria lo sviluppo del culto krishnaita.  Cosí è infatti.  In Oriente il ruolo del Buddhismo è stato pari a quello de Cristianesimo in Occidente, per cui si è originato un Karmayoga buddhista, anche se ha assunto altro nome.  La via di trasmissione è stato il Tantrismo, la cui Via Mediana (41) corrisponde appunto al Karmayoga induista.  Benché l’accento etico-sociale sia meno forte nel Tantrismo buddhista (volgarmente chiamato ‘Buddhismo tantrico’) rispetto all’Induismo, l’intero Buddhismo al pari del Vishnuismo e del Cristianesimo può esser comunque considerato una ‘via di centro’, le altre due correnti essendo unicamente diverse dalla ‘Via Mediana’ tantrico-buddhista solamente per questioni di sfumature.  Diversamente nel Tantrismo induista prevalgono le due vie opposte, tanto che si parla in genere solamente di Dakiāmārga e Vāmāmārga, ma vi è pure l’Uttarāmārga.  In altre parole la Massoneria pagano-cristiana, l’Essenismo ebraico, il Karmayoga hindu e il Sahajayāna buddhista hanno una lontana comune origine dottrinale, al di là del corpus tradizionale in cui sono state successivamente incorporate e rielaborate; quest’origine risale al triplice personaggio del quale abbiamo già trattato per sommi capi, quel Krishna-Eracle-Noè (42), che era in realtà un’unica figura variamente ritratta da una tradizione all’altra.  Su questo filone principale si sono innestate evidentemente altre scuole dottrinali, kenite o sethite, se è vero che certi rami massonici di discendenza ermetica fanno capo a Crono o a Saturno, allotipi pagani del Caino e del Seth biblici.
                   I Collegia Fabrorum altro non erano che reminiscenze in epoca storica (dal periodo repubblicano a quello imperiale, durante cui passarono ad essere controllati dal Senato Romano) degli antichi sodalizi (lat.sodalitates) di derivazione eraclea (43).  Il pastore battista nonché massone Fort Newton (1876-1950) sosteneva (44) che l’antica architettura era strettamente connessa alla religione e gli arnesi di lavoro del costruttore erano emblemi di verità etiche.  Esistevano infatti mezzi segreti onde utilizzare il dramma sacro a fini d’iniziazione rituale.  Ad essi corrispondeva una dottrina segreta, illustrata solo a coloro che se ne dimostravano degni.  Naturalmente non vi sono prove di quanto affermato, il tutto perdendosi nella notte dei tempi.  È stato tramandato, però, lo spirito di quei lontani costruttori.  Asserisce del resto Guénon (45) che il mestiere di carpentiere, vale a dire di coloro che fungevano da costruttori in tempi nei quali si costruiva col legno e col ferro, è piú antico di quello dei muratori, quantunque oggi i carpentieri siano ridotti a loro servitori.  La muratura denoterrebbe un maggior grado di solidificazione, e quindi indirettamente di sedentarietà, onde rappresenterebbe una tappa posteriore nel corso del processo ciclico cui è sottoposto il genere umano (46).  Dal mestiere di fabbro (47), cui è strettamente legato in origine quello di carpentiere (48), si sarebbeo sviluppati i mestieri maggiormente recenti di falegname, carratore, muratore e costruttore navale.  Il concetto di ‘architetto’, in sostanza, consisteva in un semplice punto d’arrivo del carpentiere nei panni di maestro.   


  


Appendice-  Addenda sui Collegia Fabrorum

                   Il mestiere del carpentiere era insomma quello d’un costruttore, ma è chiaro che il primo uso della pietra e del metallo in generale risale ad epoche maggiormente remote.  Per la pietra non per nulla si parla di Paleolitico come di ‘Età della Pietra Antica’; perciò, è al Paleolitico che ne risale l’uso.  Circa i metalli, ammesso che il loro utilizzo nelle età archeologiche corrispondenti equivalga al vero (e non ne siamo del tutto sicuri), per studiarne lo sviluppo e la diffusione dobbiamo rifarci al mestiere dei fabbri, che è assai piú vetusto di quanto le varie età archeologiche non lascino credere.  Essendo degli artigiani, o meglio  degli artigiani per eccellenza donde dipendeva l’invenzione delle armi, non possiamo collocare la nascita dei forgerons piú lontano del Mesolitico.  Poiché ad essi è legato il sapere alchemico, nonché la conoscenza del fuoco in tutti i suoi aspetti magico-sacrali.  E il Fuoco risale a Prometeo, figlio di Giapeto, il Pra-jāpati greco.  Dato che la pena mitica cui è sottoposto il primo designa in realtà un periodo ciclico assai lontano (pressappoco l’inizio del Mesolitico)(49), se ne deve dedurre che sia quella l’epoca d’inizio del culto del Fuoco, dell’Alchimia e delle forgerie di metalli.  In India invece Agni appare quale figlio di Tvastar (50), cioè del Carpentiere; dal che è possibile arguire che carpentiere e fabbro fossero un unico mestiere in principio oppure che il mestiere di fabbro come gli altri menzionati sopra rientrasse in quello di carpentiere.  Il Fort Newton (p.74) fa notare che anche le scienze e le arti, non solamente la materia propriamente religiosa, venivano ritenute sante.  La costruzione del Tempio di Salomone, non per niente, faceva da modello per Templari e Massoni.  Salomone e Hiram fungono a vicenda da ‘Grande Architetto’ e ‘Demiurgo’, sostituendo nel ruolo iniziatico Eracle e Ificle.  La dottrina d’origine salomonica s’incontra e si fonde, dopo il diffondersi del Cristianesimo, colla sapoenz dei Collegia; i quali, molti secoli prima, avevano costruito delle corporazioni lavorative.  Coll’avvento del Cristianesimo schiere di costruttori vennero effettivamente in Europa dalla Palestina, passando per Costantinopoli e diffondendosi in Grecia e a Roma (p.79).  Esse avevano per emblema il Triangolo, ad insegna della loro Fratellanza.


                   La trasmissione del segreto non concerneva esclusivamente gli aspetti esoterici, ma pure le conoscenze scientifco-tecniche e le prezisità del lavoro artigianale.  Naturalmente è difficile dimostrare il passaggio dalle confraternite eraclee ed erculee a quelle massoniche, dal momento che ad Eracle-Ercole non era attribuita alcuna arma che possa richiamarsi in qualche modo agli attrezzi del lavoro muratorio.  Bisogna comunque far presente che immagini delle chele del Cancro e dello Scorpione venivamo mostrate in Grecia a mo’ d’insegne del mestiere, sulla facciata esterna delle officine ove si adoperavano le pinze e le tenaglie.
                   I Collegia si diffusero durante l’Era Volgare lungo tutto l’Impero Romano.  Tracce della loro esistenza sono state scoperte in Inghilterra fin dalla metà del I sec. d.C.  Fort Newton (p.80) dimostra che fra le confraternite dionisiache di Tiro (era Strabone a definirle tali, facendole provenire dalla Siria, dalla Persia e dall’India) e i Collegia romani. Pur attraverso molti vuoti in mezzo, è lecito tracciare un connubio.  Vi è chi fa risalire a codeste confraternite persino la fondazione delle città.  Non si può negare d’altronde che vi sia fra Eracle e Romolo una certa omologia.  Entrambi sono dei gemelli.  Romolo corrisponde a Balarāma o a Melchisedeq, Eracle a Ka o a Noé.  Entrambi, d’altronde, sono signori zodiacali.  Sta di fatto che, dopo la fusione con membri dei Collegia romani, i costruttori d’origine asiatica ispirantisi al Tempio di Salomone da loro eretto “seguirono le legioni romane nei posti più disparati, edificando città, ponti e templi” (p.80).  Il Fort Newton parla anche d’influenze provenienti dal culto di Mithra, praticato dai soldati imperiali, su di loro.  Un esempio di tale sincresi è da vedere, secondo il Fort Newton, nei resti dell’antica villa romana a Morton (Isola di Wight).  Col crescere dell’Impero si moltiplicarono, di conseguenza, anche i Collegia.  Le iscrizioni, sotto la direzione delle Artes et Opificia (p.81), ossia Arti e Fabbriche, rivelano la presenza di abili manufatti ed una specializzazione molto spinta.  Sicché ogni mestiere sembrerebbe abbia avuto il suo ordine segreto, divenuto presto talmente potente da costringere l’Imperatore ad abolire il diritto di libera associazione, ma l’editto rimase inefficace col tempo (p.81).  La maggior parte dei Collegia divenenero funerari e caritatevoli nei loro lavori, sí da venir incontro al senso d’orrore e solitudine che suscitavano le tombe in tempi nei quali lavita a causa delle guerre e delle malattie era divenuta piuttosto precaria.  Ogni collegium disponeva di servizi funebri e segnava le tombe col proprio marchio, che conferiva loro un segno d’eternità.

continua







                                                             Giuseppe Acerbi











Note


(1)                C. Bonnet-Xella, Le grandi fatiche di Ercole- Archeo (A.IX, N°107), Gen. ’94.
(2)                Il Lineare B è una forma arcaica di greco miceneo rinvenuto a Creta in tavolette risalenti al XIV-XIII sec. a.C. da A.Evans, scopritore della civiltà cretese, all’inizio del XX sec.; è derivato dal Lineare A (XVIII-XV sec. a.C.), la lingua minoica, che aveva a sua volta sostituito la precedente scrittura geroglifica.  Il primo è stato decifrato nel 1952-3 da M.Ventris e J.Chadwick, il secondo rimane indecifrabile nonostante le varie ipotesi; vi è stato chi l’ha avvicinato ad una lingua anatolica, il luvio, chi all’indoiranico od al fenicio, ma l’ipotesi piú probabile (avvalorata dall’approvazione del Ventris) è la parentela coll’etrusco.  Il motivo per cui le tavolette del Linerare B sono state trovate a Creta è per il fatto che nel XV sec., quindi non molto prima della Guerra di Troia, i Micenei hanno invaso e conquistato l’isola assoggettandola al loro dominio.
(3)                Bon.-X., doss.cit., p.63/ col.b.
(4)                Doss.cit., p.62/ col.b.
(5)                Cit., pp. 61/ col.b e 62/ col.a.
(6)                Per l’esame di alcune metope cfr. J.Charbonneaux-R.Martin-F.Villard, La Grecia classica- Rizzoli, Milano 1970 (ed.or. Grèce classique- Gallimard, Parigi 1969), P.sec., figg. 136-40.  Il Charbonneaux, scomparso purtroppo tragicamente poco prima della pubblicazione del libro, fa presente nella sezione dedicata alla scultura (ibid., pp. 128-9) che 12 sono le metope dedicate al leggendario fondatore dei Giochi Olimpici antichi; ad esse avrebbero lavorato, secondo Pausania, Peonio e Alcamene.  E ribadisce (ib., p.133) che 12 sono pure quelle analoghe del Tempio E di Selinunte realizzate poco dopo, seguendo l’esempio dell’architetto Libone, che aveva operato ad Olimpia. 
(7)                Nella rappresentazione dei 10 Avatāra la scultura hindu talora non si sofferma sulla raffigurazione di tutti e 10, ma sembra accennare ad essi solamente con quelli oggetto del culto in una determinata area di realizzazione artistica od in un dato periodo storico.  Ciò non significa che a seconda delle zone, o dei tempi, il numero avatarico variasse rispetto a quello canonico.  Certamente nei testi puranici ci si trova spesso dinanzi all’aggiunta di avatara minori, senza distinzione rispetto agli altri maggiori per cui appaiono molti di più, ma non accade mai che se ne debbano intendere di meno anche quando ne sono citati solo alcuni.  Per un semplice fatto.  Gli Avatara non sono delle figure cultuali a sé stanti, visto che implicano nel loro insieme la durata dell’intero Manvantara, ossia le manifestazioni di Manu durante i 10 Yuga di cui il ciclo è composto.  Per le 12 Fatiche valga lo stesso discorso, non possono consistere in un numero diverso, facendo capo allo Zodiaco Solare Duodenario.  A meno d’intenderle in riferimento ad un antico Zodiaco Ottonario, di cui sembra esservi traccia persino nella natura differente di qualche Segno rispetto a quella di altri.  La cosa è peraltro testimoniata da Erodoto, allorché nelle Storie (ii. 46) disserta sull’Eracle egizio.
(8)                Bonn.-X., doss.cit., pp. 61/ col.b e 62/ col.a.
(9)                Per un’occhiata all’Efesteio cfr. dapprima Charb.-Mart., op.cit., P.Pri., p.37, fig.32 e P.sec., p.167, fig.179; riguardo almeno uno degli episodi mitici indicati (forse le Esperidi), vedi invece sempre nello stesso testo p.169, fig.182.
(10)              Doss.cit., p.63/col.a.      
(11)              J.Charbonneaux-R.Martin-F.Villard, La Grecia arcaica- Rizzoli, Milano 1969 (ed.or. Grèce archaïque- Gallimard, Parigi 1968), P.Pri., pp. 47, fig.50 e 45, fig.47.
(12)              Charb.-Mart., op.cit., P.sec., p.81, fig.86.
(13)              Op.cit., p.97, figg. 107 e 106.
(14)              Cit., P.ter., p.285, fig.329.
(15)              Pp. 316, fig.362 e 320, fig.368.     
(16)              AA.VV., Greci e Persiani- Feltrinelli, Milano 1967 (ed.or. Grichen und Persier- Fischer Bhch. KG, Francoforte s.M. 1965), Cap.15, pp. 284-6.
(17)              A questa tesi è meglio porre dei limiti.  Certo è comprensibile l’entusiamo degli studiosi tedeschi quali il prof. H.Bengston (appartenente all’Univ. di Monaco di Baviera) nei confronti di Alessandro Magno ed il pargone con Federico il Grande (Federico II di Prussia), ma il modello di Alessandro non può che esser stato quello eracleo.  Se è vero che il condottiero recava sempre seco una statuetta di bronzo di Eracle Epitrapezio, ideata da Lisippo, bronzista del IV sec. e suo ritrattista ufficiale.  Eracle combatteva dovunque, dovunque riorganizzava territori ed edificava città, sopprimendo vecchi modelli tribali ed abolendo i sacrifici umani; ciononostante, non si può affermare che in precedenza regnasse il caos e con lui sia risorta l’umanità.  Se questo è avvenuto in parte, occorre ammetterlo, sotto un altro aspetto la decadenza ciclica sottostante all’intera storia umana procedeva spedita inesorabilmente.  Gli arcaici costumi tribali sono venuti meno colla fondazione di strutture urbane piú solide da parte del semidio dorico, i nuovi positivi costumi borghesi di carattere eroico-produttivo adombrati nelle Fatiche secondo Servio (canalizzazioni, bonifiche ecc.) non erano però sufficienti a compensare la perdita della vecchia cultura aristocratica di carattere titanico-venatorio.  Coll’eroe macedone è avvenuto, in parvo, la stessa cosa.  Lo dimostra il fatto che un generale di Alessandro stia all’origine della disintegrazione del regno indiano donde sono stati costretti a vagabondare nomadicamente senza meta gli Zingari, ossia quell’insieme di popolazioni di differente origine che si suole distinguere principalmente in comunità rom e sinti.  Cfr. in proposito I.Hud, Gli Zingari nella storia- C.O.T.L. & F., blog (16-05-15).
(18)              Non entriamo nella questione se l’autore fosse davvero il grammatico ateniese del II sec. Apollodoro, ritenuto compilatore d’una opera omonima in versi, oppure il romano Castore l’Annalista del secolo precedente.   Cfr. in proposito Wikipedia, Enc. on line, s.v.Bibliotheca (Pseudo-Apollodoro).  La voce è basata sugli studi dei manoscritti greci da parte di A.Diller (Amsterdam 1983).
(19)              Bonn.-X., doss.cit., p.63/ col.a.
(20)              Su costui, autore della Bibliotheca (un’opera considerata indispensabile allo studio dei miti greci), vide n.18.
(21)              Per una visione approssimativa del tema cfr. T.H. Gaster, Le piú antiche storie del mondo- Einaudi, Torino 1960 (ed.or. The Oldest Stories in the World- The Viking P., N.York 1958), Cap.1; ma per analizzare compiutamente l’epos babilonese nelle sue XII tavolette classiche e confrontarlo colle versioni babilonesi piú antiche oppure sumeriche, nonché quelle accado-ittite, ittite ed elamite è necessario G.Pettinato (in coll. con S.M. Chiodi e G. del Monte, La saga di Gilgamesh- Rusconi, Milano 1992).
(22)              Si noti che la vera πόλ-ις, etimologicamente parlando (scr.pur-is, var. di pura-s), era una città fortificata e circondata da un fossato.  Si può anche argomentare che in principio fosse rotonda (cfr. il gr.πόλ-ος = ‘polo’, da p£llw= ‘metter in rapido moto; muoversi avanti e indietro, oscillare’, scr..pur = ‘andare innanzi, precedere, guidare’) e difesa da una palizzata (lat.pālus// -um = ‘palo, chiodo’) conficcata nel terreno.
(23)              L’estetica classica non è puramente epidermica, sensoriale; presenta immancabilmente dei richiami etici, ma non è piú ieratica.  In altre parole, manca di vera profondità.
(24)              Cfr. L.Charbonneau-Lessay, Le Bestiaire du Christ- L.J. Thot, 1940 (diff. Arché, Milano 1974), P.Quinta, Cap.Trentesimo, §III, pp. 246-7, tavv. VII-VIII.  Ciò valeva in un’estensione di territorio che partiva dalla Grecia ed arrivava fino all’Asia Minore.  L’autore fa presente che l’emblema del dio della luce poteva pure venir effigiato ai piedi del nume oppure a sé stante, secondo quanto si deduce dalla numismatica antica (ibid., p.247, tavv. IX-X); mentre nel Tardo Medioevo e al principio del’Evo Moderno compariva la sola Testa di Cervo, sormontata da una stella oppure dai due luminari, come si nota rispettivamente in un quadrello del lastrico (XV secolo) d’un ospizio francese e su un sigillo viennese (d’incerta datazione) di proprieta dell’autore (ib., p.248, tavv. XI-XII).  D’altronde, di tali raffigurazioni prendeva atto, a suo tempo, il viaggiatore Pausania.
(25)              Questi due animali lo rappresentano entrambi, sebbene il Cervo tendenzialmente appaia nei reperti piú antichi.  Quantunque i cervidi dimorino sia nell’India Settentrionale che Meridionale, da ciò si può dedurre che vi è stato in passato uno spostamento geografico verso sud da parte di genti che ne facevano oggetto di culto ed erano stanziate in zone maggiormente settentrionali dell’India, presumibilmente l’Asia Centrale.
(26)              Cfr. G.Acerbi, Mrigeçvara. Ricognizioni su un’eccezionale icona del tempio di Pâçupatinâtha in Nepâl- Alle pendici del Monte Meru, blog (10-05-14).  Sicuramente esisteva un tempo anche in Grecia per Apollo od il suo alter-ego (il Gigante Orione), proprio come in India per Śiva-Mahādeva, una forma cervina al modo di quella di Atteone.  Vide n.24.
(27)              La Bibbia, prodotto in Italia nel 1966 da Dino De Laurentiis.

 (ci scusiamo col lettore, ma le nn. 28-34 sono andate momentaneamente perdute)
  
(35)              G.Acerbi, Il Re Pescatore e il Pesce d'oro...- Quaderni di Simmetria, Roma? (N.B.-  Il testo – che stiamo scrivendo da ben 23 anni – è in fase di ristesura ultima, anche se purtroppo qualche hacker ha pensato bene di manipolarcelo per ragioni a noi ignote, poi deve esser presentato all'editore, che lo sottoporrà preventivamente ad una Commissione.)
(36)               L.Gardner, I segreti della Massoneria- Newton C., Roma 2009.

(37)               Summa dell ruolo avuto dal Bruce in tale compito
(38)               Citare qualche fonte in proposito
(39)              M.Baigent-R.Leigh, Origini e storia della Massoneria. Il Tempio e la Loggia- Newton C., Roma 19xx, P.II, Cap.9, p.134.

(40)             Si potrebbe pensare che la Massoneria sia nata direttamente col Cristianesimo, ma non è cosí.  Non vi è soluzione di continuità fra i Collegia Fabrorum e la Libera Muratoria.
(41)         Ac., La Fenomenologia Evoliana- Simmetria on line (N°36, 15-11-14), p.xx, n.xx.

(42)             L’Antichità identificava esclusivamente i primi due, ma anche il terzo personaggio ha tratti comuni ad essi.  

(43)              Su questo punto vedi art. on line (xxxx).

(44)             J. Fort Newton, The Builders. A Story and Study of Freemasonry- The Torch Press, Cedar Rapids (Iowa) 1914, Cap.V, p.73.

(45)             R.Guénon, Muratori e carpentieri; presso Scritti sulla Massoneria, p.61.
(46)             Guén., op.cit., p.81
(47)            Non per nulla è il mestiere di San Giuseppe, popolarmente conosciuto quale falegname, e del demiurgo indiano Tvastar (germ.Tuisto)
(48)             Cit., p.82.  


(49)              G.Acerbi, L’Isola Bianca e l’Isola Verde- Simmetria (N.41, Apr. 2016), p.15.
(50)              Guén., art.cit., p.85.



P.S.-  Per i culti astrali nelle varie Epoche, vedi:




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N.B.- Segni diacritici per attuare la correzione: «»

ĀāĒēĪīŌōŪūṚṛḶḷ Ĵĵŷ úíóáýâî äüöÜ Ƒ ∂Ə ǝə ČŚśṢṣŠš ḌḍṬṭṄṅṆṇṁñḤḥ ÈÁ

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